Autrice: Giulia Anzani
L’uomo è un animale sociale: tende a fare gruppo con i propri simili. Una delle macro aree in cui un individuo si può racchiudere, è la generazione. Con questo termine s’intende un insieme di persone accomunate dal periodo storico e dagli eventi vissuti.
Sul finire del ‘900, è stata creata una classificazione di generazioni, in cui ogni fascia generazionale ha un nome dedicato ad esperienze socio-culturali comuni a (più o meno) tutti i facenti parte di quel gruppo. Esiste la Lost Generation, che comprende i Ragazzi del ’99, andati sul fronte della Prima Guerra Mondiale mentre compivano 18 anni; la Greatest Generation, che visse la Depressione negli USA e andò a combattere nella Seconda Guerra Mondiale; la Silent Generation che, a causa dell’insicurezza finanziaria, subì un decremento delle nascite. Ci sono poi i Boomers, nati durante la ripresa economica del secondo dopoguerra; la generazione X, una generazione anche detta “invisibile” per l’importante diminuzione delle nascite rispetto a quella precedente.
Ci sono poi le generazioni che m’interessano e di cui parlerò nelle prossime righe: Millennials e Generazione Z.
Vengono chiamate Millennials le persone nate tra il 1981 e il 1995: quelli che, nei primi quindici anni del terzo millennio, sarebbero diventati adulti. È l’ultima generazione a ricordare il mondo analogico, senza la diffusione attuale dell’internet 2.0, senza essere connessi 24/7. È la generazione che ha vissuto la crisi economica in giovane età, che ricorda più o meno chiaramente l’11 settembre e la valuta in lire.
La Generazione Z comprende le persone nate tra il 1996 e il 2010. Sono a volte detti anche “nativi digitali” ed è la prima generazione a non ricordare il mondo analogico. Conoscono l’11 settembre grazie ai documentari e ai racconti di amici e parenti più grandi, usano i social e si interfacciano con il mondo in modo completamente diverso rispetto a tutte le generazioni che li hanno preceduti.
Detto ciò, è necessaria un’ulteriore specifica: alcune fonti riportano date diverse di “fine Millennials” e “inizio GenZ”, e quelle in ballo sono sempre 1994, 1995, 1996, 1997. Le date in bilico.
Una volta esposti i fatti, con tutte le controversie del caso, dico la mia.
Sono nata nel 1995 e, come sarà sicuramente per molti miei coetanei, non sono esattamente una Millennial. Non ricordo come funzionasse la valuta in lire, quando c’è stato l’attentato delle Torri Gemelle non avevo ancora iniziato le scuole elementari e non ho assolutamente memoria di come fosse usare le cassette in macchina (o in qualunque altro posto si usassero).
Sono nata nel 1995 e, come sarà sicuramente per molti miei coetanei, non sono esattamente della GenZ. Uso i social in modo “tradizionale” (per quanto sia possibile una cosa del genere, insomma), usavo MSN appena tornata a casa da scuola e ricordo l’avvento dei social network e dei primissimi meme.
Sono troppo analogica per essere della Generazione Z, troppo digitale per essere Millennial. A che generazione appartengo, quindi?
Dopo aver fatto un po’ di ricerche ho scoperto che per noi, nati nel mezzo degli anni ’90, è stato coniato un ulteriore termine: Zillennials. Con questa parola ci si riferisce a quella fascia di persone nate tra il 1993 e il 1998 che non si sentono appartenenti alla generazione precedente né a quella successiva ma che, con entrambe, hanno punti in comune. In pratica, ci mimetizziamo tra una generazione e l’altra, aggirandoci indisturbati, sapendo di non poter essere riconosciuti a prima vista.
L’Urban Dictionary dice che “potresti essere un zillenial se puoi ricordare di avere avuto una cassetta VHS da bambino. Potresti essere zillennial se sei diventato maggiorenne (diplomato al liceo) negli anni ’10 del 2000”. Una descrizione impeccabile, non c’è che dire.
Come spiega un formidabile articolo – che consiglio a chi mastica un po’ d’inglese e che ho sentito profondamente mio rigo dopo rigo -, “non mi sento a mio agio ad essere etichettata come Millennial perché odio il toast con avocado, non ho mai capito il clamore per Friends, non ero abbastanza grande per essere spaventata dalla fine del mondo nel 2000 e non userei mai la parola “adulto” in modo non ironico. Ma allo stesso tempo, non mi sento nemmeno a mio agio nell’essere etichettato come Generazione Z. Non sono uscito dall’utero con un iPhone e un iPad in mano, penso ancora alla canzone di Ke$ha quando sento la parola “TikTok”, ho avuto la fortuna di diplomarmi al liceo prima dell’amministrazione Trump e cercare di tenere il passo con le attuali tendenze dei social media mi fa sentire come una nonna”.
Rendersi conto di far parte di un sottogruppo del genere fa davvero uno strano effetto, ma è a suo modo confortante. Noi siamo quelli “abbastanza Millennial” da apprezzare la modernità con tutti i suoi comfort e, al contempo, abbastanza GenZ da riuscire a stare al passo coi cambiamenti frettolosi di questo millennio. Siamo attenti a cause più grandi di noi, come l’ambiente e l’inclusione sociale, proprio come la GenZ, ma con meno irruenza e più calma, come sono soliti i Millennials.
Insomma, come direbbe il mito dei zillennials Hannah Montana: otteniamo il meglio di entrambi i mondi!
Pubblicato su www.agenziaradicale.com il 22 agosto 2022