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Exodus, l’anteprima assoluta del nuovo spettacolo di sculpture dance e physical theatre di Emiliano Pellisari e Mariana Porceddu con la compagnia NoGravity al Teatro Olimpico.

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Autrice: Giulia Anzani

Dopo poco più di due mesi dalla visione di Inferno 2021, sono di nuovo seduta su una delle poltrone del Teatro Olimpico per l’anteprima assoluta della performance della compagnia NoGravity: Exodus

Nei primi anni del secondo dopoguerra, nel 1947, 200.000 ebrei vivevano in  condizioni precarie nei campi di concentramento tra Austria e Germania. In migliaia decisero di spostarsi attraverso il Mar Mediterraneo verso la Palestina, sotto controllo britannico che impediva l’afflusso di ebrei dal 1939. Exodus fu la nave più grande usata per trasportare il popolo ebraico che voleva tornare nella biblica Terra d’Israele. Il significato intrinseco del titolo Exodus, si rifà a questa vicenda. Ricorda la storia biblica del vitello d’oro: gli ebrei stavano affrontando un esodo che avrebbe dovuto portarli ad approdare nella Terra Promessa dopo la schiavitù egiziana; con la costruzione dell’idolo incarnato nel vitello d’oro, quando credevano che Mosè non sarebbe tornato dal monte Sinai con le tavole dei comandamenti, scatenarono l’ira di Dio che li condannò a vagare fino all’estinzione della generazione che commise il peccato. Anche in questo caso gli ebrei hanno avuto bisogno di un esodo per sgravarsi dalle proprie colpe e dai propri peccati: l’orrore dell’olocausto ha rappresentato il massimo dell’espiazione possibile. Finalmente possono tornare a casa, dopo la diaspora che li ha dispersi nel mondo. La rappresentazione in Exodus di Emiliano Pellisari e Mariana Porceddu di questa sofferenza e della sua fine, nella nascita di una patria – lo Stato d’Israele – è stupefacente. Con la voce ebraica narrante di Moni Ovadia, calda e pacata, e la musica araba di Jordi Savall, l’opera rappresenta un bellissimo incontro tra culture contrastanti e convergenti. Un’allegoria di vicende migratorie della nostra epoca, non solo del popolo ebraico, che vedono esodo di popoli in cerca della loro terra promessa, in cerca di qualcosa di migliore. Un ritorno alle acque del Mare Nostrum e al suo sale, la culla dell’umanità. Avere l’onore e il piacere di osservare la bravura e la destrezza dei sei ballerini-acrobati, statue scolpite nella gomma, non permette di staccare gli occhi dal palco. Leggeri e fluidi, si muovono nelle incredibili coreografie allontanandosi e unendosi, seguendo la musica ora ritmata, ora lenta. La sensazione è di guardare un unico essere multiforme, tormentato ma delicato, che fluttua su uno spazio dominato dalla sola sua presenza. Un dipinto di Caravaggio in movimento, che riporta alle nostre radici facendoci sognare una promessa di nuova umanità che, a fatica, emerge dai peccati e dalle colpe di quella vecchia. Ad un tratto mi è parso di vederli galleggiare nel liquido amniotico, per poi andare a formare un utero materno pronto a far nascere una nuova vita: è forse quella la nuova patria, la nuova Terra Promessa. 

Tra il pubblico intravedo volti noti, tra cui un entusiasta Leo Gullotta, balzato in piedi ad applaudire l’incredibile performance. C’è anche Tony Esposito, interessato ovviamente alle musiche e alle percussioni fortemente evocative ed ancestrali, che mi ha preceduta nell’andare dietro le quinte a salutare i ballerini. Lì mi accolgono, stanchi ma contenti, ancora coi costumi di scena, i NoGravity: Marianna Porceddu, Arianna Balestrieri, Saverio Cifaldi, Luca Forgone, Leila Ghiabbi e Giada Inserra. E proprio con loro ho avuto modo di complimentarmi. “È bello vedere la reazione positiva del pubblico, per noi è molto importante sopratutto in una serata in anteprima assoluta”, mi dicono, soddisfatti. Ma è più di questo: non è stata solo una reazione positiva, quella del pubblico… la loro perfomance, ancora una volta, è stata vera fonte d’ispirazione.

Pubblicato su www.agenziaradicale.com il 26 maggio 2022

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