Autrice: Giulia Anzani
Applausi scroscianti per Valentina Picello e Annibale Pavone, protagonisti di “Raccontami tutto da capo”. Sale sul palco il curatore della lettura scenica, Giovanni Ortoleva, a cui vanno ulteriori applausi. Infine, arriva Abel González Melo, drammaturgo creatore dello spettacolo, che abbraccia Ortoleva e si inchina insieme agli altri di fronte alla platea entusiasta. Giustamente entusiasta, aggiungo. Lo spettacolo a cui ho assistito, “Raccontami tutto da capo”, è stato divertente e molto coinvolgente. Una grande prova di meta-teatro. Si tratta di una fantastica commedia dal gusto noir – decisamente nelle mie corde -, interpretata magistralmente in un crescendo emozionale. Lei, una giovane e ingenua attrice. Lui, un attore secondario, stanco del suo ruolo mai in primo piano e che si porta dietro “una disperazione azzurro pallido”. Un duello di parole tra due persone, una coppia sulla scena e nella vita, che combattono fino allo stremo per le loro ambizioni. Tutto quello che bramano è il potere e sono disposti a tutto pur di ottenerlo. Ad un passo dal baratro, ricostruiranno il percorso che li ha portati lì, durante le prove per la messa in scena di Macbeth. Il finale ambiguo, chiude il cerchio… o forse no.
Ma ora, facciamo un passo indietro a poco prima del debutto.
È venerdì 13 maggio, primo pomeriggio. Arrivo a Firenze in una zona che dire mi sia poco familiare è un eufemismo. È tranquilla e silenziosa, nonostante il passaggio continuo di quella che lì è chiamata “tramvia”. Più tardi, dall’hotel dove alloggio, mi avvio verso il vero obiettivo della mia trasferta: il Teatro di Rifredi. Immerso nel verde di una villetta, è una struttura piccola e graziosa che già solo a vederla dà un senso di familiarità. Ad accogliermi trovo il gentilissimo e garbato Giancarlo Mordini, il direttore, che mi presenta la star delle ultime due settimane: Abel Gonzàlez Melo. Con lui, affiancato dalla sua interprete, la bravissima Antonella Sara, e insieme alla giornalista del Globalist Alessia De Antoniis, intrattengo una chiacchierata sui suoi spettacoli e sul suo background che potete leggere qui.
Il drammaturgo ispano-cubano si trova a Firenze per la rassegna chiamata “Drammaturgia/Drammaturgie” organizzata dal Teatro di Rifredi: una serie di incontri, seminari, tavole rotonde e letture drammatizzate iniziata il 2 maggio e che si concluderà quella sera stessa. Il 6 maggio, si è tenuta la prima italiana di “Chamaco. Una storia cubana” dello stesso Abel González Melo, con la lettura scenica a cura di Angelo Savelli e con Lidia Castella, Mauro D’Amico, Olmo De Martino, Fabio Magnani, Ciro Masella, Riccardo Nardini, Diletta Oculisti e Samuele Picchi.
Una storia molto diversa da quella a cui ho assistito la sera del 13, prettamente cubana e molto caratterizzata in questo senso. Citando la brochure si tratta di “una strana partita a scacchi dove non è solo il destino a muovere le pedine, ma anche il malessere sociale, la corruzione, la libido e l’ipocrisia”.
Sul sito teatrorifredi.it, nella brochure del programma, è spiegato il motivo del duplice titolo: “Secondo la definizione canonica, “drammaturgia” è l’arte di scrivere per il teatro. Ma è anche l’insieme, lo stile e la poetica specifiche delle opere di un determinato autore. […] Esistono molteplici “drammaturgie” soprattutto nella nostra società contemporanea caratterizzata da velocità dei cambiamenti […]. La manifestazione “Drammaturgia/Drammaturgie” vuole indagare su questo doppio aspetto, sottolineando l’universale dignità e specificità dello scrivere per il teatro e al tempo stesso esplorando e facendo conoscere i particolari e differenti percorsi di scrittura di singoli autori contemporanei”.
L’ultima tavola rotonda in programma, si tiene a poche ore dallo spettacolo e raccoglie le testimonianze sulle Drammaturgie di vari esponenti della teatralità contemporanea. Gli autori Davide Carnevali e Michele Santeramo intervengono in differita, l’attrice e autrice/regista Emma Dante con un video precedentemente registrato. In presenza, ci sono l’attrice, autrice, produttrice Antonella Questa, l’attore/drammaturgo/regista Tindaro Granata e naturalmente Abel González Melo. La conferenza è coordinata dal docente universitario di Storia del teatro moderno e contemporaneo e di Istituzioni di regia all’Università di Firenze Renzo Guardenti.
I temi discussi nelle due intense ore di incontro sono vari: la drammaturgia e le drammaturgie dal loro illustre ed esperto punto di vista e gli eventi degli ultimi anni che hanno inevitabilmente modificato la percezione della realtà; la difficoltà nelle differenze generazionali avendo a che fare con una “nuova leva” più che mai diversa da quella “di prima” e del rapporto con la tradizione e i grandi maestri a cui attingono nella loro arte; fino ad arrivare alla traduzione e l’adattamento delle opere. Ad accomunare tutti loro, è il punto di partenza: mettere qualcosa di sé in tutto ciò che fanno. Le loro testimonianze sono spunti di riflessione sul nostro tempo, con le difficoltà che esso si porta dietro, e sullo spettatore visto come parte dello spettacolo. Il fatto che il teatro costituisca l’unica arte “ancora e per sempre, e non sarà mai sostituibile da nessun’altra forma di spettacolo”, dice Michele Santeramo, è emblematico di ciò che si prova scrivendo e recitando su un palcoscenico dal vivo. Il bello della diretta. “Si basa su qualcosa che accade fisicamente, un luogo e un tempo specifico, tra corpi di chi sta sulla scena e chi sta fuori dalla scena”, concorda Davide Carnevali.
“Nonostante il pubblico sia molto settoriale, i drammaturghi e le drammaturghe secondo me sono importanti perché sono gli unici testimoni che lasceranno ai posteri quell’umanità che noi siamo oggi”, spiega Tindaro Granata sull’importanza della narrazione teatrale.
“Sicuramente io sono impregnata di grandi maestri e maestre” racconta Antonella Questa sul valore della tradizione e del racconto, “quindi non penso automaticamente a un modello. Penso a come rendere fruibile uno spettacolo a chiunque: parto dal presupposto che chiunque abbia diritto di andare a teatro e di goderne. C’è la persona che prende un primo livello, poi c’è la persona che prende anche il terzo livello di ciò che racconto. Ma per me è importante che qualsiasi persona nel pubblico abbia passato una bella serata. Mi interessa che lo spettatore vada via con un po’ di speranza”.
Santeramo cita Eduardo, e una sua lezione che gli è rimasta impressa e che è quella che cerca di non dimenticare mai quando scrive: “Lo spettatore si deve riconoscere nei personaggi che vede”. Spiega di lavorare per molto tempo sulla scaletta dei suoi spettacoli, cosa che gli fa vedere con chiarezza ciò che ha davanti. “Scrivendo la scaletta m’ispiro al lavoro artigianale della costruzione di una sedia, il cui principale obiettivo e funzione è di potercisi sedere. Una buona scaletta, con una buona scrittura, è come una sedia su cui ci si possa sedere comodamente”.
E ancora, il fatto che il teatro sia politico “non per cosa dice, ma per come dice certe cose”, spiega Carnevali “e la questione della forma diventa centrale. La proposta sul come dire le cose, che apre orizzonti allo spettatore. Permettere al pubblico di vedere le cose in un altro modo, cercare di astrarlo dall’assuefazione quotidiana, cercare di proporre differenti visioni dell’uomo”.
“Ritrovarsi in un mondo che parla un’altra lingua, che ha altri valori e altri criteri, è complicato: si mette in discussione ciò che si conosce”, dice ancora Granata.
“Pensando alla tradizione della mia Cuba, senza ombra di dubbio si può definire come una tradizione promiscua”, dice Abel González Melo. “Se pensiamo ai secoli di civilizzazione “dopo gli europei” e a quelli “prima degli europei”, vediamo come la nostra cultura venga attraversata da molteplici tradizione e forme. Quello che cerco di fare è raccontare aspetti della contemporaneità molto marcati e forti, come competitività, frustrazione, vie che si possono trovare per far fronte a tutto ciò in tempi come i nostri che ci consumano. Ogni opera presenta l’opportunità per trovare nuove strutture: spessissimo aggiungo sottotitoli alle mie opere. Quindi “qualcos’altro dal titolo” che possa raccontare questo viaggio a interpreti e pubblico”.
A conclusione dell’incontro, si accenna ai registri linguistici, all’adattamento e alla traduzione delle opere. “Il problema dell’adattamento è rispettare il pensiero dell’autrice o dell’autore, e riportarlo nella tua lingua… questa è la difficoltà, ma ovviamente è necessario”, spiega Questa “I giochi di parole, ad esempio, come li traduci? La mia fortuna, quando traducevo, come è capitato ad Angelo Savelli con l’opera di Abel “Chamaco”, è l’aver tradotto contemporanei, quindi potevo confrontarmi con loro”.
“È importante trovare non quello che c’è nella parola, ma quello che sta dietro le parole”, spiega González Melo e Questa continua: “Tradurre ti permette di entrare nella dimensione mentale e culturale dell’autore o autrice, è quello che adottiamo quando scriviamo. Cerchiamo di arrivare al pubblico”.
“La traduzione è una forma di adozione: il testo è partorito da un’altra persona, ma traducendolo in qualche modo lo fai tuo”, spiega l’interprete Antonella Sara, mettendo una parte della sua esperienza a nostra disposizione e concludendo un incontro importante. Incontro che, come dicevo, mi ha permesso di attingere a tanti spunti di riflessione, e ha messo anche il mio sentire in discussione, generando in me la cosa più bella che si possa avere: il dubbio di stare sbagliando, ossia il punto di partenza per la crescita personale. E io mi sento un po’ più alta e molto fortunata ad aver assistito a tutto questo.
Pubblicato su www.agenziaradicale.com il 15 maggio 2022