Autrice: Giulia Anzani
Nel mondo contemporaneo, la figura femminile è al centro di una battaglia per l’autodeterminazione che attraversa esperienze e identità profondamente diverse.
Tutte le persone socializzate come donne affrontano sfide di varia natura che derivano da un sistema patriarcale e da una lunga e ben radicata tradizione di oppressione religiosa, culturale e politica che ha cercato di controllare corpi, identità e libertà. Eventi recenti offrono un nitido riflesso della condizione femminile globale, in cui la resistenza si scontra con una violenza strutturale e sistemica che permea ogni aspetto della società.
Per comprendere appieno questa complessa battaglia, è essenziale analizzare come le religioni monoteiste, attraverso i loro testi sacri e precetti, abbiano storicamente perpetuato la subordinazione delle donne.
Le religioni abramitiche – Islam, Cristianesimo ed Ebraismo – hanno svolto un ruolo cruciale nel codificare e giustificare la supremazia maschile. Le tradizioni religiose non hanno solo influenzato le norme sociali, ma hanno contribuito a stabilire un sistema di controllo sui corpi e sulle identità femminile.
Nel Cristianesimo, la narrazione del peccato originale ha ritratto Eva come responsabile della caduta dell’uomo, definendo una visione della donna come tentatrice e peccatrice. Nell’Islam, alcune interpretazioni della Sharia vogliono le donne come cittadine di seconda classe, con restrizioni sui loro diritti e sulle libertà personali, giustificando il controllo sulla loro vita. E nel Giudaismo le donne sono escluse storicamente da ruoli di leadership e da decisioni pubbliche.
La religione è stata quindi usata come strumento per confermare il patriarcato come ordine naturale, intrecciandola indissolubilmente alla politica e rendendola un potente mezzo di controllo sociale. Questo quadro di oppressione religiosa si riflette nella repressione che le donne affrontano a livello globale.
Un esempio lampante di oppressione di genere religiosa e politica si trova in Iran dove l’ennesima giovane donna iraniana, Arezoo Badri, è stata paralizzata dalla polizia per aver violato le leggi sul velo – a distanza di meno di due anni dall’uccisione di Mahsa Jina Amini, fatto che scatenò una reazione a catena d’indignazione in tutto il mondo.
Situazioni analoghe si manifestano in altri contesti, come in Russia – Paese apparentemente laico ma dalla forte impronta patriarcale – dove assistiamo a simili forme di repressione: è il caso del recente arresto di Kenia Karelina, una giovane russo-americana accusata di alto tradimento per aver donato denaro a un ente pro-Ucraina.
In Afghanistan, con il ritorno al potere dei Talebani, le donne sono state private di ogni diritto: escluse dalla vita pubblica e costrette al silenzio totale, sono state private persino della possibilità di cantare o parlare in pubblico.
Nella Striscia di Gaza, la situazione attuale ha ulteriormente esacerbato la vulnerabilità delle donne. Secondo uno studio ONU, “Gender Alert”, oltre un milione di donne e ragazze sono attualmente sfollate. Ogni ora almeno due madri perdono la vita, mentre il 70% delle vittime del conflitto attuale sono donne e bambini. Le condizioni in cui vivono queste donne sono disumane, costrette a combattere non solo contro le conseguenze del conflitto militare, ma anche contro una struttura evidentemente patriarcale che le rende doppiamente vittime.
Il fenomeno è dunque ampio e sistemico. Un’altra drammatica espressione dell’oppressione globale femminile è il preoccupante e sempre crescente fenomeno dei femminicidi, punta dell’iceberg di una catena di violenza, discriminazione e soprusi subiti dalle donne. Il femminicidio rappresenta l’espressione più estrema della violenza di genere, spesso perpetrato all’interno di relazioni familiari o intime, riflettendo una cultura di controllo e di possesso legata ai ruoli di genere stereotipati e patriarcali.
La violenza di genere si manifesta in molte forme e può colpire chiunque sfidi i rigidi binarismi di genere. Le persone queer subiscono discriminazioni e violenze a causa della loro identità di genere, percepita come minaccia all’ordine patriarcale delle cose. La violenza è amplificata dal pregiudizio e dall’odio, sfociando in aggressioni fisiche, violenze psicologiche e sessuali e perfino omicidi. Le legislazioni della maggior parte delle Nazioni non tutela le persone queer, una marginalizzazione che si riflette nei dati della salute mentale.
Ma è cruciale riconoscere che il patriarcato non penalizza solo le donne: è una struttura rigida che incasella gli uomini in ruoli limitanti e distruttivi. Viene insegnato agli uomini che la vulnerabilità è sinonimo di debolezza e che dimostrare emozioni considerate femminili li renda meno virili. Questo modello di mascolinità tossica non solo danneggia le donne, ma ha gravi ripercussioni anche sugli uomini contribuendo a elevare il tasso di suicidi maschili, alimentando la cultura della violenza e ostacolando la piena espressione emotiva e personale.
Questa complessa rete di oppressione e violenza trova una chiave interpretativa significativa nella riflessione del sociologo Alain Touraine nel suo libro “Il mondo è delle donne” (ilSaggiatore). Touraine esplora il ruolo delle donne nel mondo globalizzato, interrogandosi su come esse interpretino l’eredità del femminismo e definiscano se stesse.
L’indagine coordinata da Touraine rivela che le donne vedono la propria identità come un atto di costruzione personale attraverso la specificità sessuale. Quest’approccio rappresenta una rivoluzione culturale in cui tutte le persone socializzate donne, nonostante le barriere imposte da sistemi patriarcali e religiosi, riescono a plasmare un modello di conciliazione tra opposti: corpo e mente, privato e pubblico, religione e laicità.
La costruzione del sé, sottolinea Touraine, diventa un atto di sfida contro i determinismi religiosi e patriarcali. Le donne, relegando i propri corpi e le proprie identità ai margini della lotta per il potere, riescono a costruire un universo in cui le norme oppressive si confrontano con una forza di cambiamento ed emancipazione.
In questo spazio liminare, la resistenza alle norme patriarcali e religiose non solo rappresenta una risposta alla disuguaglianza, ma anche un’opportunità per affermare e celebrare la propria identità in un mondo globale.
In conclusione, le lotte per l’autodeterminazione e la costruzione del sé sono centrali per la creazione di una società più inclusiva. Mentre il patriarcato e le norme oppressive continuano a sfidare la libertà e l’uguaglianza, l’emergere di nuove forme di identità e di resistenza, come descritto da Touraine, dimostra che il cambiamento non è solo possibile, ma necessario e auspicabile.
Pubblicato su www.agenziaradicale.com il 12 settembre 2024