Più caparbio o più ostinato?
Forse, caparbiamente ostinato.
Non essendo una nota autobiografica, mi sono trovato a rifletterci sopra: su cosa si basa la mia caparbietà? Da cosa è alimentata la mia ostinazione? È l’incapacità di accettare una verità scomoda, come il timore di non possedere quel talento che credo di avere?Caparbio e ostinato. Una vita trascorsa nel silenzio di un carattere taciturno e solitario, che però non si negava alla condivisione collettiva e che ha sempre dimostrato un eloquio tale da far guardare con attenzione ai miei momenti di silenzio. Un introverso che sa ben interpretare l’aspetto estroverso, ma che spesso si ritrae e fa un passo indietro. Per molti, sono ancora un territorio inesplorato, un mondo celato dalla mia ritrosia ad espormi se non strettamente necessario. Ho sempre cercato di evitare situazioni che potessero farmi apparire ridicolo, ma non per paura del giudizio altrui quanto piuttosto per il mio personale senso di inadeguatezza.
Ho deciso di avviare il mio nuovo percorso quasi un ventennio fa (un lasso di tempo che tende a non finire bene), esponendomi finalmente e rinunciando alle barriere protettive che avevo eretto nel tempo. Il mio tacere mi ha nascosto ciò di cui ero capace, ma mi ha anche abbagliato, convincendomi di una grandiosità quasi divina. Questo però non mi ha soddisfatto, non mi ha reso ciò che speravo. Tutto questo mi ha reso cieco nell’anima, sordo nei pensieri e insensibile alla mia stessa sofferenza. Ho perso lungo il percorso la mia empatia, un tempo potente, sostituendola con una pallida imitazione mentre imparavo a nascondermi e a velarmi. Da taciturno e solitario, sono diventato reticente e solo, e questa solitudine ha scavato una voragine nella mia emotività, formando un buco nero capace di ingoiare i sentimenti.
Privato di questa parte sensibile, mi sono adattato sempre più a una routine che non era mia. Fino al giorno in cui è comparsa lei: la Sindrome di Reiter, una malattia autoimmune.
La mia esperienza personale con la Sindrome di Reiter non solo mi ha permesso di affrontare le sfide e le limitazioni legate a una disabilità, ma ha anche agito come un catalizzatore per la mia consapevolezza riguardo le reali implicazioni della disabilità sociale. Quello che questo percorso mi ha fornito è stata una profonda comprensione della fragilità umana, rivelandomi come la vita possa cambiare radicalmente da un momento all’altro.

Riflettendo su queste esperienze, ho compreso l’importanza di sensibilizzare gli altri riguardo a queste sfide invisibili, spesso trascurate. La disabilità sociale, sebbene impercettibile agli occhi di molti, è una realtà concreta che influisce profondamente sulle vite di molte persone. Desidero condividere la mia storia perché credo fermamente che solo attraverso la consapevolezza e la comprensione reciproca possiamo sperare di costruire un ambiente più inclusivo e solidale.
Siamo tutti vulnerabili: prenderne atto può fungere da catalizzatore per il cambiamento. La consapevolezza della vulnerabilità ci spinge a trattare gli altri con empatia e rispetto, riconoscendo la mutevolezza della vita e la necessità di un sostegno reciproco nella nostra comunità. Solo così possiamo trasformare la nostra fragilità in forza collettiva e contribuire a un mondo più giusto e accogliente per tutti.